Non ho mai saputo cosa avrei voluto fare da grande. Da piccolo avevo due passioni: scrivere e smanettare con il computer. Avevo anche un’unica certezza – quella che non avrei mai fatto diventare quei due hobby un lavoro. “Se diventeranno un mestiere”, dicevo, “smetterò di divertirmi”. Ed eccomi qua, a distanza di 25 anni, a passare le mie giornate tra WordPress e piani editoriali, con gli occhi arrossati perché ancora non mi convinco a sistemare la luce blu dello schermo.
Sono felice di aver smentito il me decenne. Alla fine essere pagato per scrivere e smanettare non mi dispiace affatto. Potrei arrivare a dire che oggi ho sposato il lavoro che amo. Questa relazione, però, ha vissuto tanti momenti di crisi. Soprattutto in quei periodi in cui l’abitudine ha preso il sopravvento e non sono stato in grado di provare piacere davanti al foglio (virtuale) bianco.
Quando gli unici obiettivi diventano informare, convincere, ottimizzare, riempire spazi, compilare dati strutturati e piani editoriali, la stanchezza ha la meglio. Andare avanti con il pilota automatico, anche se controintuitivo, è particolarmente faticoso. Quando manca il vuoto creativo che ti spinge a cercare, sperimentare, evolverti, perdi la voglia di scrivere.
Non ho la presunzione di insegnare a qualcuno come ritrovarla. Negli anni però ho scoperto qualche strategia che mi è tornata utile per non gettare la spugna. E che mi ha fatto recuperare il mio rapporto con le parole e la tecnologia, riscoprendo il piacere di usare la tastiera.
L’intelligenza artificiale ti fa riscoprire la curiosità
Parto da uno strumento che ho aggiunto solo di recente alla mia cassetta degli attrezzi, ovvero l’intelligenza artificiale generativa. So che attirerò le critiche di molti colleghi, ma sono fermamente convinto che l’AI sia un ottimo modo per rimettersi in contatto con l’aspetto ludico della nostra professione, nonché un ottimo esercizio di pensiero creativo e organizzazione delle informazioni.
Non uso ChatGPT e Gemini (ma il discorso si applica anche a strumenti di generazione di immagini, video e musica) per scrivere e inventare al mio posto. Il loro ruolo più interessante è quello di fidi compagni di brainstorming.
A volte in maniera esplicita, con prompt che mi aiutano ad analizzare meglio fonti e dati, cercando quel dettaglio che, in giornate piene, rischia di sfuggirmi. Altre indirettamente, quando inizio a giocarci con richieste surreali, proponendo approcci che non userei mai e uscendo dalla mia comfort zone con titoli folli, stili narrativi esotici, trattamenti del testo che non riuscirei neanche a immaginare.
Le intelligenze artificiali diventano uno specchio dei miei limiti e fonte di nuove ispirazioni. Mi costringono a chiedermi “Ma perché non ci avevo pensato?” o “Come faccio a migliorare questo output?”. È un processo che mi aiuta a riaccendere la curiosità e la voglia di sporcarmi le mani.
Il segreto è quello di non cercare risultati già pronti, ma stimoli imperfetti e distanti dal quotidiano. Tra l’altro le idee migliori spesso nascono da errori di prompting e richieste interpretate male dalla macchina. Il mio consiglio è quello di non rincorrere le buone pratiche del prompt engineering. Meglio lunghe sessioni di trial and error, che tra l’altro mi impongono l’accensione del cervello tra una risposta e l’altra.
Lanciati fuori dalla tua zona di comfort
Chi scrive per professione ha una zona di comfort composta da temi, format e toni in cui si sente al sicuro. Scrivere di ciò che conosciamo è un’ottima strategia per renderci riconoscibili e autorevoli per Google. Ma rischiamo di rimanere anestetizzati. Magari sempre più tecnici, ma annoiati.
Uscire dalle proprie aree di expertise significa riappropriarsi del rischio. E allora ecco il secondo consiglio: se scrivi di economia, prova a raccontare cultura. Se ti occupi di tecnologia, leggi di botanica. Se fai cronaca, studia filosofia del linguaggio. Non serve diventare esperti in tutto, basta allenarsi a guardare il mondo con occhi da principiante.
Mettiti alla prova concretamente fuori dal tuo perimetro. Prova a inviare il tuo curriculum a portali o riviste che parlano di argomenti lontani da quelli su cui lavori ogni giorno. Ti troverai nella posizione di cambiare registro, cambiare pubblico, cambiare ritmo. Magari scegli realtà più piccole, dove avrai la libertà di sperimentare senza la pressione delle grandi testate.
Leggi narrativa – e magari scrivila
Chi scrive per mestiere passa la vita a produrre testi funzionali: informativi, SEO friendly, leggibili, sintetici. È un linguaggio necessario che a lungo andare diventa tossico. Ti fa perdere una parte importante e divertente della scrittura, quella in cui le parole non servono solo a dire qualcosa, ma suonano bene insieme.
Ricordi l’ultima volta che hai letto una poesia?
Ricordi cosa significa scrivere senza pensare a un motore di ricerca?
Leggere narrativa è una forma di disintossicazione. Ti ricorda che la lingua è anche ritmo, immagine, lentezza. Un bel romanzo o una raccolta di versi ti riporta a una dimensione in cui dietro ogni frase c’è anche una scelta estetica. E magari ti può far venire voglia di tornare a suonare con le lettere. Prova a scrivere qualcosa di inutile ma bello. Magari rispolverando un manuale di scrittura creativa o un libro delle superiori per riscoprire strumenti dimenticati.
Io sono sempre stato un grande fan dell’allitterazione, la versione tipografica del flirt. Due parole si guardano, si somigliano e sanno che sono suoni senza senso quando sono separate. Si piacciono e si pronunciano, danzano discrete, mormorando, muovendosi e mescolandosi. Scusa, mi sono lasciato prendere la mano. C’è qualcosa di irresistibile nei fonemi che si rincorrono. Qualunque sia la tua figura retorica del cuore, comunque, ricordati di usarla ogni tanto.
Spegni tutto: internet è fatica mentale
C’è una cosa che chi lavora con le parole dimentica spesso: leggere e scrivere sono attività che stancano occhi e cervello. Scorrere il proprio feed social, selezionare un film su una piattaforma, leggere notifiche o e-mail: tutto questo richiede micro-decisioni linguistiche continue. È come scrivere in silenzio. Se vuoi recuperare la passione, devi spegnere i dispositivi, e con loro quell’area della mente che si occupa del linguaggio.
Chiudi il computer, metti il telefono in modalità aereo e vai a fare una passeggiata. Magari al mare o in campagna. Guardare il mondo reale, con i suoi volti, i rumori, il vento, ti restituisce stimoli non mediati dalle parole. E bada, non è un romanticismo d’altri tempi. È neuroscienza. Sono passati decenni da quando è stata teorizzata la rigenerazione dell’attenzione. In questo lasso di tempo molti studi hanno confermato che la mente creativa funziona meglio dopo fasi di inattività.
Serve il vuoto per genere il pieno.
Sfida i tuoi amici e i tuoi colleghi
L’entusiasmo nasce dal gioco, non dal dovere. Quando scrivere diventa solo lavoro, l’antidoto è tornare a giocare con la scrittura. Crea sfide con amici o colleghi, come scrivere un racconto a settimana, aprire un sito su un tema assurdo, scrivere a turno i capitoli di una storia collettiva, fare una newsletter segreta solo per pochi lettori fidati. Niente scadenze ferree, niente algoritmi da convincere e clienti da soddisfare.
Il gioco funziona perché non deve funzionare. Ti riporta a una dimensione di intimità, condivisione personale e imperfezione. Fare spazio a nuove forme di scrittura che ti ricordano perché hai iniziato potrebbe riaccendere la miccia della passione. Dimenticati le regole, i CMS, le metriche, le logiche SEO. Torna a divertirti. Torna all’origine.

